CARLO CECCATO, HIRSCHER E IL SEME BUONO

Eccoci al tredicesimo appuntamento de #ildrusciesiracconta, la serie di interviste dedicate ai tecnici della nostra società. Protagonista è il “Cek”, vale a dire Carlo Ceccato, allenatore del gruppo Giovani maschile del Druscié. Il tema che gli abbiamo chiesto di sviluppare è quello del talento.

Carlo, come fa un allenatore a valorizzare il talento dei suoi atleti?

«Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto capire cosa è il talento. C’è chi si riferisce il termine talento al “bambino talentuoso” o al “bambino dalle doti straordinarie”, cioè a colui che si caratterizza per promettenti caratteristiche fisiche o tecniche e che in un futuro potrebbe raggiungere importanti risultati a livello sportivo. Un’altra definizione di talento sportivo è relativa a chi ha maggiore reazione agli stimoli di allenamento; ha una reazione positiva a stimoli di intensità superiore; ha un’applicazione corretta e creativa delle tecniche anche in condizioni mutevoli; ha delle soluzioni personale dei problem, ha una notevole capacità e rapidità di apprendimento. Ecco, mi pare che queste due definizioni spieghino bene che cos’è un talento. Chiarito il concetto di talento, bisogna capire se l’atleta in questione ne è dotato,  con vari  criteri di valutazione. Ne cito alcuni: il livello delle capacità generalmente molto al disopra della media per la giovane età; la velocità di sviluppo di queste capacità, quando incontrano le condizioni più favorevoli; la motivazione, che il giovane manifesta in modo costante per la sua crescita personale in ambito sportivo». 

Ma il talento, da solo, basta a far vincere nello sport?

«La risposta è certamente no: il talento da solo non è mai bastato, non basta e mai basterà. Qualsiasi sport si pratichi a qualsiasi livello, il talento va “aiutato con una serie di azioni, coltivato ed esercitato con costanza e determinazione, perché alla fine possa produrre buoni frutti”». 

Quindi non basta nascere Hirscher per diventare Hirscher?

«No. Assolutamente no. Ci sono atleti veramente dotati che, nella vita e nello sport, hanno combinano poco e niente. Avere talento, non è di per sé la chiave di volta per diventare dei campioni. Molto spesso, ragazzi dotati con la scusa di avere “talento” in allenamento s’impegnavano poco se giocavano o gareggiavano in competizioni poco importanti non davano quasi mai il meglio di sé, poiché pensavano di essere “imbattibili”, non mettevano il giusto approccio mentale in ogni partita, gara, competizione. Quante volte abbiamo visto atleti molto promettenti che in età molto giovane – penso alla categorie Baby e Cuccioli nello sci – stravincevano e poi si sono persi per strada. Ma penso anche ad atleti che si sono limitati ad usare il loro talento e nulla più: un esempio sono Balotelli e Cassano che, appunto limitandosi a usare il loro talento ma senza aggiungerci impegno e determinazione, non sono diventati – come avrebbero potuto diventare – dei super campioni come Ronaldo o Messi». 

Hirscher invece …

«Il talento è certo una caratteristica naturale che, teoricamente, rappresenta un vantaggio nella vita. Se si parla con Hirscher, dirà certamente che il talento l’ha senza dubbio aiutato ma probabilmente aggiungerebbe che non gli è bastato e che ci è voluto molto altro per arrivare ai suoi successi: racconterebbe di quanto allenamento ha dovuto fare, di quanta fatica e quanta costanza ha dovuto mettere nell’essere perseverante, senza mai arrendersi, di quanta forza mentale ha dovuto esercitare per evitare di mollare quando le cose non andavano bene». 

In tutto ciò, che ruolo ha l’allenatore?

«L’allenatore diventa elemento fondamentale per valorizzare il talento, un dono che si deve nutrire con l’allenamento (che non è solo con la ripetizione dell’esercizio), con lo studio, l’indagine e l’approfondimento del gesto tecnico. Il talento e la capacità creativa, devono essere alimentati sempre da nuovi stimoli, per non esaurire il loro potenziale. L’allenatore aiuta ad affrontare una grande impresa e a valorizzare i risultati, porta nuovi stimoli e arricchisce l’allenamento, propone un confronto imparziale ma sempre costruttivo perché “dalla parte dell’atleta”. Credo che un allenatore sia fondamentale per far uscire l’atleta dalla zona di confort creata dal talento. Il professor Ericsson afferma che ci vogliono ben 10.000 ore di lavoro per diventare un campione e sintetizza che il talento può essere sviluppato attraverso quattro passaggi: prendendo coraggio e uscendo fuori dalla propria zona di comfort; con la ripetizione costante dell’esercizio; con la determinazione – forza interiore; con la definizione di un obiettivo ben preciso. Si tratta di quattro presupposti che quasi tutti i grandi campioni hanno». 

Talento e determinazione.

«Non basta il talento e non basta la determinazione. Occorre anche una mente forte, in quanto possiamo essere talentuosi, perfettamente allenati e preparati dal punto di vista atletico, tecnico, tattico ma è inevitabile che prima o poi ci troveremo a dover affrontare delle difficoltà: è proprio in questi tristi momenti di sconforto che dobbiamo essere forti e reagire in modo da trasformarli in momenti positivi, momenti di crescita personale, momenti indispensabili al raggiungimento del successo. Per sintetizzare questa chiacchierata sul talento, mi piace questo esempio: Il talento è come un seme piantato nella terra: per germogliare e fruttificare (vincere nello sport, come nella vita), ha bisogno di essere annaffiato ogni giorno con determinazione (l’allenamento costante e ripetuto) e che le terra venga ripulita costantemente dalle erbacce cattive (la mente infestata da pensieri negativi). Solo in questo modo, quel seme (il talento), darà ottimi frutti (diventare campioni)». 

Responsabilità Sociale SCD

L’insegnamento della pratica sportiva, oltre alla doverosa attenzione allo sviluppo delle capacità coordinative armonicamente con l’evoluzione motoria, ha il compito di trasferire valori fondamentali per maturare in modo sano e nel rispetto del senso civico

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